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Ridefinire l'Earned Media Value

24 Sept. 2018

Le strategie di digital marketing si basano su quelli che possono esserne definiti tre pilastri: owned media, paid media ed earned media. Questi tre rappresentano e suddividono la tipologia di contenuti legati a un singolo brand che sono presenti online.

Owned media: include tutti i contenuti online di proprietà dell’azienda come il sito web istituzionale e i diversi canali social. L’identità del brand viene rappresentata in questi canali ed è quindi utile che i contenuti pubblicati siano di interesse per i follower e soprattutto utili al pubblico.

Paid media: i paid media sono invece contenuti, di solito owned media, per cui si investe del budget per la loro erogazione e promozione, come l’advertising sui social. Anche le campagne di AdWords o gli investimenti in email marketing sono da considerarsi paid media. Nell’ambito dei paid media anche tutti gli investimenti di influencer marketing sono da considerarsi tali in quanto si arriva alla creazione di contenuti in seguito a una transazione economica.

Earned media: si tratta di tutte le forme di comunicazione organiche attorno al tuo marchio. Questo include menzioni, condivisioni, e recensioni. Può essere guadagnato unicamente in modo organico tramite i social media o il word of mouth (WOM) e rappresenta proprio il “passaparola” alimentato da un marchio.

Earned Media Value

Un grafico che mostra i tre pilastri e le loro intersezioni (Fonte Titangrowth)

Cos’è l’Earned Media Value?

L’earned media value è il valore che un brand guadagna da ogni interazione, visualizzazione o commento su comunicazioni riguardanti il proprio marchio, che siano esse post sui social, discussioni nate su forum oppure recensioni scritte dai clienti (come quelle su TripAdvisor ma anche quelle di Amazon o qualsiasi altro servizio che aggreghi recensioni da parte degli utenti). Esso può essere calcolato con diverse modalità: ci si può basare sul numero di impression, sulla reach, sull’engagement o anche sul sentimento delle recensioni o dei commenti.

Qualsiasi valutazione dell’earned media deve partire da un benchmark preesistente. Si deve avere obbligatoriamente un valore da affidare alle metriche misurate. Se ci si dovesse basare sulle impression si potrebbe paragonare il risultato di quelle ottenute durante un programma di influencer marketing con il costo che queste impression avrebbero avuto con una semplice campagna di advertising display con AdSense, oppure le si potrebbe analizzare in relazione ai costi medi di una campagna di advertising su un determinato social media.

Esempio: se il CPM, costo per mille impression, su Instagram è di circa 5 euro si può tenere in conto questo valore. Quindi se la campagna di un influencer ha ottenuto 1 milione di visualizzazioni l’earned media potrà essere di 5000 euro.

Le modalità di calcolo dell’earned media sono numerose e ognuna di esse può restituire un valore diverso in base al benchmarking di partenza. Ecco perché si presentano alcune problematiche legate a questo valore.

Perché l’earned media value non è una metrica affidabile

L’earned media value viene visto da molti marketer come un modo efficace per misurare i risultati e il valore di un programma di influencer marketing, e si sta affermando sempre più come uno degli standard del settore.

Stephen Waddington di Ketchum spiega che l’Earned Media Value non è altro che l’evoluzione dell’Advertising Value Equivalency ma che ne raccoglie gli stessi difetti. L’AVE è un indicatore sviluppato negli anni ’40 per dare valore misurabile alle operazione di marketing e PR. Questo si misurava confrontando i risultati ottenuti da pubblicità di posizionamento e dimensione simile.

Come si è spiegato cui sopra non esiste una formula universalmente accettata per misurare l’Earne Media Value. In base alla società di marketing o pr si potrà ottenere un valore di EMV diverso sulle stesse metriche di partenza. I risultati sono quindi troppo arbitrari per essere presi seriamente in considerazione. L’attrattiva di questa metrica è che restituisce dei numeri molto alti da presentare ai propri clienti, ma non garantisce in alcun modo che il programma di influencer marketing abbia funzionato e che il pubblico in futuro possa trasformarsi in clienti.

In questo modo l’EMV diventa una metrica semplicistica e invalidante di una strategia, l’influencer marketing, i cui risultati sono diventate sempre più misurabili, sia in termini di performance che di ritorno sull’investimento. "È una risposta idiota che mette in ridicolo le professioni del marketing e delle pubbliche relazioni", è l’inappellabile risposta di Philip Sheldrake nel suo libro The Business of Influence.

L’errore principale del misurare l’EMV è che non si misurano metriche di valore come conversioni e vendite, e che basandosi su valori astratti risulta nient’altro che l’ennesima inutile vanity metric.

Earned Media Value

Alternative all’earned media value

Uno dei primi fatti da tenere in considerazione è che sui social il rumore è continuo. Parliamo di miliardi di impression quotidiane su milioni e milioni di contenuti. Guadagnarne una manciata o anche qualche milione in fin dei conti non misura il successo del marchio o del prodotto.

Misurare la fiducia o anche solo l’attenzione dei consumatori è tuttora molto difficile, ma è necessario riuscire a catturare entrambe per spingere il proprio pubblico social a diventare un proprio cliente. Per misurare l’attenzione del pubblico è importante cambiare il proprio approccio all’earned media value e non guardare più unicamente a valori come impression e reach ma basarsi su dati molto più concreti.

Un primo passo sarebbe quello di andare a misurare la quantità di persone che effettivamente hanno prestato attenzione ai propri contenuti, ovvero l’engagement. Sì, perché trattandosi questo di interazioni con il post misura la quantità effettiva di persone che hanno guardato il post e che hanno avuto una reazione emotiva ad esso. è importante misurare le azioni che il pubblico intraprende, le azioni sono quantificabili al contrario delle semplici visualizzazioni.

Una persona che interagisce con un post che parla del tuo brand e decide di condividerlo sta dicendo ai propri amici e follower che per lui quel contenuto è degno di nota e potrà portare ad ulteriori condivisioni che potranno eventualmente portare a degli acquisti.

Earned Media Value

Un’altro dato misurabile sono le lead e le conversioni che un post potrà generare. Se tramite un tuo contenuto un utente si dimostrerà interessato a tal punto da lasciare i propri contatti, quella sarà un’azione misurabile e quantificabile. Calcolare quindi il CPL o il CPA di una campagna sarà molto più utile del semplice earned media sulle impression.

Infine uno dei dati maggiormente misurabili è quello delle vendite dirette, se grazie ad un post si riuscirà, grazie ad uno shortlink, tracciare il comportamento del pubblico e verificare che questo ha portato alla conclusione di un acquisto quello sarà un profitto vero e quantificabile.

Conclusioni

L’earned media value è una metrica volatile in quanto misura dei dati che non hanno un vero e proprio valore. Le impression e la reach non misurano in modo efficace la quantità di persone che hanno effettivamente “visto” un post, misura la quantità di persone che hanno potenzialmente visto quel post. Mentre misurare l’engagement è il primo passo in una direzione più efficace di misurazione, è importante cominciare a considerare metriche più quantificabili.  Misurando il CPE, lead generate e CPL come pure CPC e vendite dirette si riuscirà a calcolare in modo più efficace il ritorno di una campagna.

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