Campagne pubblicitarie addio, i prodotti si promuovono attraverso gli «web influencer» che raggiungono centinaia di migliaia di consumatori con un click: un marketing globale.
Negli Stati Uniti è un fenomeno da oltre un miliardo di dollari, cifra destinata a raddoppiare nei prossimi 24 mesi. Secondo la società di ricerche di mercato Mediakix, nel 2019 i brand investiranno due miliardi e mezzo di dollari sulla voce influencer marketing, la pubblicità attraverso personaggi che con centinaia di migliaia (o milioni) di follower sui social media — Facebook, Instagram, Youtube — sono diventate vere e proprie star del web. E alle aziende ormai sono più graditi dei classici testimonial pubblicitari. Cosa fanno gli influencer? Selfie, o video, o articoli sul loro blog, in cui mostrano un prodotto suggerendolo — più o meno esplicitamente — alle migliaia di utenti che li seguono. Si passa così dal passaparola al click-to-click, e con un costo bassissimo le imprese possono raggiungere una vastissima platea e un target specifico. Secondo l’Economist un post di un creator su Facebook può valere dai 6.250 dollari in su, se raggiunge almeno centomila utenti; su YouTube la cifra raddoppia: 12.500 dollari, ma si può arrivare anche a 300 mila dollari se si raggiungono oltre 7 milioni di follower.
«C’è differenza tra i classici testimonial pubblicitari e gli influencer: quest’ultimi scelgono i brand in maniera consapevole, credono in quei marchi che rispettano il proprio modo di vedere e la propria storia senza provare ad ingannare i follower con i quali hanno un rapporto di stima e rispetto» spiega Adrian-Doron Sordi, co-fondatore con Sheila Salvato di «Hoopygang». La startup fiorentina, nata in casa Nana Bianca, è la prima in Italia ad offrire un servizio completo nell’ambito dell’influencer marketing riuscendo a controllare numeri e nomi delle star del web, individuare gli influencer più adeguati per un singolo brand attivando così campagne mirate e poi monitorandone l’andamento in termini di visualizzazioni e interazioni.
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Continua a leggere l’articolo di Gaetano Cervone sul Corriere della Sera